C'è chi, colpito
da una tragedia, ne esce devastato. Incapace di far fronte all’accaduto, cade
in una profonda depressione o demoralizzazione, a volte perdendo la speranza e
persino la voglia di vivere. Può essere talmente in balia del disastro da
soffrire di incubi, flashback e attacchi d'ansia. Ma c'è anche chi reagisce in
modo diverso e sembra saper gestire non soltanto i normali alti e bassi della
vita, ma anche perdite e traumi potenzialmente sconvolgenti. Anziché deprimersi
e abbattersi, queste persone sono in grado di affrontare le circostanze
dolorose e tirare avanti. Questo diverso modo di reagire ha attirato
l'attenzione di Boris Cyrulnik, che ha dedicato la sua vita professionale allo
studio della resilienza psicologica per capire come mai certe persone ne sono
colpite tanto profondamente, mentre altre sembrano capaci di riprendersi. Ha
così scoperto che la resilienza non è una qualità innata, ma si costruisce con
un processo naturale. Cyrulnik dice che <<da solo, un bambino non ha
resilienza…e un'interazione, un rapporto>>. Costruiamo la resilienza
sviluppando rapporti. Ci “lavoriamo a maglia” di continuo in base alle persone
e alle situazioni che incontriamo, attraverso le parole che scambiamo i
sentimenti suscitati. Potremmo avere la sensazione che se cade una maglia, la
nostra vita sarà sconvolta. In realtà, se una sola maglia tiene, possiamo
ricominciare da capo. Le emozioni positive e il senso dell'umorismo sono
aspetti fondamentali della resilienza. Le ricerche di Cyrulnik hanno dimostrato
che le persone maggiormente capaci di affrontare le avversità e i traumi della
vita sanno trovare un senso nelle difficoltà, concependole come esperienze
utili e illuminanti e trovandoci perfino motivo di riderne. Le persone
resilienti conservano sempre la capacità di capire come una situazione in
futuro possa volgere al meglio, anche se il presente è doloroso.
Affrontare la
sfida
Un tempo si
riteneva che le persone che si dimostrano più resilienti fossero meno emotive
in generale, ma Cyrulnik è convinto che per loro la sofferenza non sia minore
che per gli altri; la differenza sta in ciò che decidono di farne. La
sofferenza può addirittura durare tutta la vita, ma per queste persone
rappresenta una sfida da accettare. La sfida è superare l’accaduto, trarne
forza anziché lasciarsi abbattere, e usare quella forza per andare spavaldamente
avanti. Se ricevono il giusto sostegno, i bambini sono particolarmente capace
di riprendersi del tutto da un trauma. Cyrulnik ha dimostrato che il cervello
umano è malleabile e può riprendersi, se gli è consentito. Il cervello di un
bambino traumatizzato mostra un assottigliamento dei ventricoli e della
corteccia, ma se dopo il trauma il piccolo riceve amore e il giusto sostegno,
la risonanza magnetica ha evidenziato che il cervello è in grado di tornare
alla normalità in un anno. Cyrulnik sottolinea l'importanza di non etichettare
i bambini che hanno subito un trauma, relegandoli a un futuro apparentemente
senza speranza. Il trauma è composto da due elementi: il danno e la sua
rappresentazione. Spesso l'esperienza post traumatica più nociva per i bambini è
sperimentare le interpretazioni umilianti che gli adulti danno degli eventi. Le
etichette, dice, possono danneggiare e dannare più dell’accaduto.
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